Pochi romani sanno che è possibile passeggiare all’interno di un quartiere romano dove la luce, gli stili ed i simboli ci fanno rivivere le favole. Il quartiere Coppedè è una zona che si colloca tra i quartieri Parioli, Trieste e Salario. Le sue modeste dimensioni non giustificherebbero l’appellativo di quartiere, ma il suo fascino peculiare è indiscutibile. La storia del quartiere nasce nel 1916, quando la Società Anonima Cooperativa Moderna acquista 31.000 mq nelle vicinanze di piazza Buenos Aires ed affida il progetto all’Architetto fiorentino e Fratello Gino Coppedè. Sebbene, gran parte della libreria ed archivio personale dell’Architetto siano andati distrutti, con ragionevole certezza si può dire che il primo progetto era composto da diciotto palazzine e ventisette villini. Il progetto fin dalla prima stesura si distingue per il rispetto del piano regolatore del 1909, fortemente voluto dal sindaco e Massone Ernesto Nathan, che fu il primo piano regolatore ad essere concepito tridimensionalmente, garantendo uno sviluppo armonico sia sul piano orizzontale che verticale. Il primo progetto proponeva come fulcro una piazza con una fontana, la futura piazza Mincio, intorno alla quale si sviluppavano le nuove vie con le nuove strutture. Ma se nel progetto, la piazza e la fontana esaltano l’ordine e la simmetria imposte dal nuovo piano regolatore, in realtà sarà l’invenzione della via Diagonale con il suo arco, che unisce i due palazzi di via Po e via Arno e insieme apre la vista di Piazza Mincio, a determinare la forza scenica e a dare l’idea di un quartiere “sui generis”.
Il quartiere nell’insieme rappresenta la “summa” degli stilemi coppediani e della sua visione dell’architettura. Infatti, si fondono l’esperienza decorativa sviluppata magistralmente fin da adolescente nel laboratorio ebanista del padre Mariano, con la sua personale evoluzione del castello quattrocentesco ove comignoli e torrette improbabili si moltiplicano per fornire un armonioso “pastiche”di simboli e decorazioni. Una ricognizione dell’area che da via Salaria porta al Quartiere, dimostra come in quegli anni gli stili Liberty o più schiettamente Neo-medievale e Manierista fossero prediletti non solo nella costruzione delle chiese ma soprattutto delle abitazioni private.
La nostra passeggiata Latomistica inizierà come è giusto che sia dal grande arco che sovrasta la via diagonale del quartiere, continuerà nella piazza centrale con la grandiosa fontana delle Rane circondata dal Villino delle fate, dal Palazzo del Ragno, dal Palazzo del Lavoro e si concluderà con due “tesori segreti” del quartiere quali i villini della“Musica”. L’ingresso del quartiere è monumentale, con un arco ornato da mascheroni, efebi ed affreschi con cavalieri medievali. La decorazione riprende temi medievali ma con tratti Liberty. L’arco stesso è la citazione di archi di Trionfo della tradizione romana, ma con lo stemma della famiglia Medici diventa qualcosa di “altro”, non un arco celebrativo ma di netta separazione fra quello che c’è fuori dal quartiere e gli scorci interni che si intravedono. Il visitatore viene preparato agli scorci della Fontana delle Rane da tre elementi posizionati rispettivamente sul piano strada, sotto la chiave di volta dell’arco e sulla torre del Palazzo degli Ambasciatori, rispettivamente la Madonnina col Bambino, il lampadario in ferro battuto e la Nike.
I tre elementi, sebbene indipendenti, sono posti a protezione dell’Inizio del Cammino del visitatore nel quartiere. Infatti, a proteggere l’ingresso al quartiere, resta la tanto discreta quanto “innovativa” piccola edicola angolare a cuspide, dove una sottile figura di Madonna illuminata da una lanterna pendente, porge il Bambino Gesù verso il visitatore. Il Bambino, non si rivolge alla Madre come nella tradizione dell’Iconografia, ma al visitatore come invitandolo a seguire il percorso con ungesto di accoglienza. Sotto l’Arco che segna l’inizio spaziale del cammino, si trova il grande lampadario circolare in ferro battuto riccamente decorato. Il lampadario è agganciato ad una decorazione poli-cromica che richiama la manifattura fiorentina dei Della Robbia. Dal punto di vista simbolico, il lampadario all’aperto sembra ricordare l’imprescindibilità della “illuminazione” nel Cammino. Proprio sotto una delle colonne di questo arco l’Architetto appose la sua firma.
Alzando gli occhi il visitatore è colpito dalla Nike alata che sembra stagliarsi in volo con due ramoscelli di palma nelle mani ed una decorazione a mosaico alle spalle. La figura alata in equilibrio precario sul bordo della torretta ottagonale rappresenta la polena di una nave. La polena precede il cammino della nave da e verso il suo porto. La Nike, dea della vittoria o colei che conferisce la vittoria o la ricompensa della vittoria (i.e. palma).
La forza innovativa che si trova fin dall’inizio in questo quartiere non si esaurisce solamente con le ricchissime decorazioni appena descritte, ma come riportato nella rivista “L’Architettura Italiana” del 1921 gli interni degli appartamenti presentano rifiniture di grande pregio e modernità come ascensori, riscaldamento a termosifone ed un “collegamento telefonico” con la portineria. L’innovazione tecnologica combinata con una tradizione costruttiva e decorativa millenaria. Nello stesso articolo si fa riferimento ad una nuova tecnica di marketing nell’edilizia civile, ovvero la possibilità di personalizzare le abitazioni in fase di costruzione, permessa dalla flessibilità delle piante di ogni caseggiato.
Continuando a passeggiare, sono proprio i Palazzi degli Ambasciatori a condurre verso il cuore del quartiere, incentrato su piazza Mincio, dove Coppedè realizzò le sue costruzioni più famose. In particolare, il visitatore viene attirato dalla Fontana delle Rane. Molti studiosi descrivono questa fontana come un tributo alla più celebre fontana delle Tartarughe impreziosita da Bernini nel Seicento. La fontana è caratterizzata da due vasche maggiori, una inferiore di forma circolare ad altezza del piano strada ed una, sempre circolare, che funge da coronamento. Proprio su questo ultimo anello, l’Architetto inserisce le Rane che costituiscono il centro ideale del quartiere. La Rana per la sua vistosa metamorfosi da uovo a girino e, successivamente, a quadrupede è il simbolo della continua rinascita e rigenerazione della vita. I tre stadi di evoluzione della rana rappresentano il percorso evolutivo dell’uomo per le culture orientali, la Santa Trinità per la cultura cristiana o i Gradi dell’Iniziato per la cultura Massonica. Malgrado, una lettura dei Padri della Chiesa veda le rane come simbolo del diavolo e degli eretici, la Rana come elemento intermedio fra terra e cielo in tutte le tradizioni antiche è un elemento di connessione fra il mondo ordinario e quello straordinario. La Rana come elemento di connessione fra l’acqua e l’aria rappresenta riti di passaggio portando creatività, prosperità ed abbondanza.
Sulla piazza si affacciano i due edifici concepiti come abitazione intensiva con quattro piani oltre il piano terra e quello seminterrato. Entrambi le facciate che si affacciano sulla Fontana delle Rane si concludono con un attico con un loggiato coperto che va ad identificare un settimo elemento. La facciata con decorazione monumentale è caratterizzata da un portone con un arco a tutto sesto con una forte strombatura finemente decorata da mosaici colorati con i temi del blu e dell’oro che contrastano con i temi e le geometrie interne in bianco e nero a cui si alterna il motivo della lucertola con la scritta “hospes salve”. L’iscrizione di saluto all’ospite potrebbe celare il saluto al postulante che chiede di essere iniziato. Il simbolo del piccolo rettile è legato alla “rigenerazione”, l’anima che cerca la Luce e quando la trova rimane in un’estasi contemplativa. Al di sopra del portone vi è posta una formella con l’iscrizione “ingrederehasaedes/quisquis es amicuseris/hospitem sopito”, “Entra in questa casa chiunque tu sia, sarai un amico. Io proteggo l’ospite”.La formella è posta accanto a due logge sostenute da due colonne monumentali che richiamano quelle del tempio di Salomone. La decorazione in bianco e nero si ripete nella loggia sopra l’ingresso ed accanto alla lucertola compaiono i simboli della pantera, dell’ariete e altri simboli geometrici.
L’edificio nell’angolo opposto a quello appena descritto è a pianta esagonale con tre lati interamente su Piazza Mincio. Il blocco centrale è una sorta di torretta, che oltre ad essere più alta di un piano esce dal profilo del prospetto quasi ad elevarsi. Tale effetto di “distacco” od “elevazione” è accentuato dalle decorazioni e cromie non casuali. Il portale di ingresso è dominato da un mascherone dalle forme titaniche che sembra riprendere il tema della forza generatrice fra Terra e Cielo, i Titani erano stati concepiti da Urano (Cielo) e Gea (Terra) infatti. A dare il nome al palazzo è un finto mosaico raffigurante un ragno, dorato e con un dorso a mandorla che dispone le lunghe zampe su una ragnatela dorata. Il ragno nelle sue molteplici interpretazioni rappresenta il positivo, l’Architetto dell’Universo che tesse e conosce il destino del mondo e ne conosce passato e futuro. In senso negativo, la tela del ragno può essere la rete del vizio in cui l’uomo cade nel suo percorso di vita. La chiave interpretativa della ragnatela può essere chiarita osservando l’affresco dipinto in ocra gialla e nero raffigurante l’allegoria del “Lavoro” rappresentato dalla scritta “Labor”. Al centro dell’affresco vi è un cavallo che porta un’incudine sulla groppa e due martelli. Il cavallo accompagna l’uomo nel suo viaggio, l’incudine è lo strumento indispensabile al lavoro di forgiatura dei metalli ed i martelli necessari non solo al lavoro di forgiatura ma anche a spezzare le catene del vizio da cui l’Uomo può essere intrappolato. Ultimo particolare che non può sfuggire nell’affresco è la presenza di dieci Api che rappresentano l’operosità dell’uomo, ovvero il “Labor”. Il torrino che si eleva al settimo livello, è affiancato da due gruppi da tre comignoli che sembrano anticipare il culmine dell’impianto scenografico della piazza rappresentato dai tre villini che passano sotto il nome di Villini delle Fate.
Interpretare il significato univocamente delle decorazioni dei villini delle Fate sarebbe ambizioso, ma possiamo senz’altro affermare che rappresentino un tributo alle quattro città d’arte italiane, Firenze ed il suo paesaggio, Milano ed il biscione, Venezia ed il leone e Roma con la lupa. L’elemento che certamente contraddistingue l’intero complesso è sicuramente l’orologio zodiacale che proietta la torretta in una atmosfera stellata ed onirica, volta a creare un collegamento fra il microcosmo ed il macrocosmo.
A colpire l’osservatore attento è l’aggiunta dell’Uva e della Vite, tanto cari a Bacco, al simbolismo dell’Ape. La tradizione classica attribuisce a Bacco stesso la scoperta del miracoloso frutto delle Api, ovvero il Miele. Ulteriore elemento decorativo peculiare è la presenza di soli circolari con dei triangoli equilateri inscritti. Il triangolo equilatero è la funzione mistica dell’eterno inscritto nell’immensità dell’Ente supremo. Sulle reali intenzioni di Coppedè nel porre proprio questa decorazione nel villino delle fate dedicato alle città d’arte italiane non è dato sapere con certezza, ma Coppedè dischiude con queste decorazioni l’esistenza di un Essere Supremo cui l’uomo può accedere trasformando in virtù attive (le Arti) le passioni sconfitte (il Vizio).
La passeggiata nel quartiere può proseguire in direzione Corso Trieste, dove si ergono due piccole ville. Le forme sono quelle dei piccoli castelli coppediani. Le due costruzioni sono state la dimora di due grandi protagonisti della musica, il cantante lirico Beniamino Gigli ed il Maestro compositore Giacomo Setaccioli. La villa del cantante più grande ed opulenta si contraddistingue per i riquadri araldici in nero ed ocra. L’elemento decorativo principale è la presenza del Leone. Il simbolo, tra i più presenti nel quartiere, riprende il tema della forza e della sicurezza. Il cipiglio del leone della villa del cantante non è “cupo” bensì maestoso, quasi a sottolinearne il carattere regale tra le specie animali.
Di carattere diverso è la villa del Maestro Setaccioli, riportata all’antico splendore da un sapiente restauro che ne ha evidenziato il profondo simbolismo. L’elemento decorativo distintivo è la presenza di un pavone su un pentagramma musicale, tanto caro al committente. Il pavone, usato in tutte le tradizioni più antiche, ha spesso evocato vizi negativi quali la vanità, la lascivia e l’arroganza. In realtà la coda non dischiusa o semi-dischiusa del pavone riportato nel finto mosaico del villino, sembra richiamare il senso dell’ascolto. Il pavone accanto alle note sembra rammentare al visitatore attento che il canto del pavone è l’unico che mette in fuga i serpenti, così come il lavoro sulla pietra grezza i vizi e la preghiera il male.
Sul finire della passeggiata, il visitatore non può che rimanere estasiato dalle meraviglie dell’Architetto Coppedè. Tali meraviglie non hanno mai una chiave di lettura univoca o unidirezionale. Ogni simbolo può essere letto in modi diversi, ma le chiavi di lettura aumentano esponenzialmente se osservati in connessione agli altri simboli presenti. Sembra quasi che il visitatore sia colpito da quei simboli con cui egli stesso sia coinvolto nella situazione spazio-tempo particolare. L’opera di Coppedè sembra tracciare un percorso individuale per il visitatore e sembra quasi spronarlo a conoscere sempre più, a tendere a quella perfezione inarrivabile cui la Storia tende. La chiave di lettura secondo cui Coppedè abbia disegnato un percorso di meraviglie per tutti gli uomini in cammino trova in un piccolo mosaico sulla facciata del liceo Scientifico Avocadro, prospiciente i villini delle Fate.
Il mosaico rappresenta un Gallo (noto ai Fratelli Massoni poiché presente nel Gabinetto di Riflessione) che allunga una zampa su una coppa affiancato da tre dadi e sembra porre un rebus. Tale immagine sembra ricordare il percorso che l’apprendista (il dado) attraverso l’illuminazione (il gallo) arriva alla conoscenza (la coppa). Tuttavia, le soluzioni ai tanti rebus posti da Coppedè sono innumerevoli, ma i temi ricorrenti dell’illuminazione, della rigenerazione, della rinascita, del lavoro inteso come elevazione sono ricorrenti. Auspichiamo che questa breve passeggiata susciti nel lettore la curiosità dell’interpretazione, al fine di ritrovare le relazioni, le ipotesi ed i misteri che offre ancora oggi il lavoro fiabesco di Gino Coppedè.
BIBLIOGRAFIA
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- Pimpinella G.,Il fantastico quartiere Coppedè tra simboli e decorazioni, Marina di Minturno, Caramanica, 2008, ISBN 978-88-7425-081-3.
- Venturoli D., Quartiere Coppedè: Un set da film horror, in Focus Storia Biografie, nº 12, gennaio-febbraio 2013.
Fonte: Phoenix Massoneria