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martedì 31 maggio 2011
La Gran Loggia d'Italia degli A.L.A.M. al Salone Internazionale del Libro di Torino.
La partecipazione alla Fiera Internazionale del libro di Torino s'inserisce in quel vasto e articolato progetto volto a sfatare i falsi miti sulla Massoneria e ad accreditare nella societa' profana la Comunione per quello che e': un cardine della civiltà, capace di diffondere e di difendere i valori fondamentali, di promuovere cultura e, soprattutto, di essere un metodo di crescita interiore, una via per risvegliare la coscienza e per cercare, in armonia con gli altri, il significato piu' profondo dell'umana esistenza.
Fonte : Gran Loggia d' Italia
TRATADO DE AMIZADE ENTRE O GOMP E A GLOSMAB
SERGIO SARGO, 33º - GRÃO-MESTRE DO GOMP |
EDUARDO NEVES, 33º - GRÃO-MESTRE DA GLOSM |
Fonte : SERGIO SARGO, 33º -GRÃO-MESTRE DO GOMP
lunedì 30 maggio 2011
Incisione del Fr. Giuseppe Bellantonio - Gran Maestro Emerito della Serenissima Gran Loggia Nazionale Italiana degli Antichi, Liberi ed Accettati Massoni - Comunione Italiana di Piazza del Gesù - al Notiziario Massonico Italiano.
Sezione : Crestomazia - Storia/Cultura
Fonte : Fr. Giuseppe Bellantonio - Gran Maestro Emerito della Serenissima Gran Loggia Nazionale Italiana degli Antichi, Liberi ed Accettati Massoni - Comunione Italiana di Piazza del Gesù
150° Anniversario dell’Unità d’Italia. A Firenze restaurato il monumento di Dante in piazza Santa Croce.
Tra i cento monumenti che l’Unità Tecnica di Missione della Presidenza del Consiglio dei Ministri per i 150 dell’Unità d’Italia ha deciso di restaurare in Italia, spicca, per dimensioni e collocazione, quello dedicato a Dante Alighieri in piazza Santa Croce a Firenze. Il restauro del monumento viene presentato in occasione della mostra che la Biblioteca Nazionale di Firenze dedica a “Dante Vittorioso. Il mito di Dante nell’800″
La colossale effige del “Sommo Poeta” è stata sottoposta, negli scorsi mesi, ad un completo intervento di restauro, integralmente sostenuto dall’Unita Tecnica di Missione della Presidenza del Consiglio dei Ministri per i 150 dell’Unità d’Italia.
Va segnalato come il restauro del Dante, sito in Piazza Santa Croce, non sia l’unico intervento a Firenze e in Toscana. Sempre nell’ambito del Progetto “I luoghi della Memoria” (progetto speciale per il 150 dell’Unità d’Italia, ideato dal Consigliere Paolo Peluffo), a Firenze, oltre al monumento di Piazza Santa Croce sono stati programmati, in collaborazione con il Comune di Firenze e la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, i restauri dei Monumenti a Bettino Ricasoli, a Daniele Manin, a Manfredo Fanti, a Ubaldino Peruzzi e ai caduti di Mentana. Inoltre, su progetto della Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, sta per essere attivato il restauro dei Monumenti all’interno della Basilica di Santa Croce in Firenze. Mentre, su progetto della Soprintendenza per i Beni Architettonici Paesaggistici Storici Artistici ed Etnoantropologici per le Province di Lucca e Massa Carrara, è previsto il restauro del Monumento a Pellegrino Rossi a Carrara e su progetto della Soprintendenza per i Beni Architettonici Paesaggistici Storici Artistici ed Etnoantropolgici per le Province di Firenze, Pistoia e Prato, è previsto il restauro di Giovanni Boccaccio a Certaldo.
La programmazione generale degli interventi citati è stata coordinata dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana e dalle Soprintendenze della regione con la collaborazione della Prefettura di Firenze e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Unità Tecnica di Missione.
Fonte : esoarte
L'altra realtà.
G.M. B:. Nadim Mansour |
Il tormentato destino dello Stato di Israele è ritornato in queste ultime settimane in primo piano dopo che il Presidente USA Obama in una dichiarazione pubblica ne ha chiesto il ritorno ai confini del 1967. Dichiarazione fermamente respinta dal Presidente Israeliano B. Netanyahu come suicida, e proprio mentre il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese M. Abbas ha ricucito lo strappo con il gruppo terroristico di Hamas, che ne continua a richiedere con la parola e con i fatti la sua distruzione. E tutto questo avviene mentre da un lato la stampa e i media mondiali esaltano le "primavere arabe" nel cui vento di libertà, vedi ciò che accade in Egitto, i cristiani copti sono massacrati nelle strade e le loro chiese bruciate. Dentro questa cornice vi è però un'altra realtà, quella che traspare dal sigillo della Gran Loggia di israele che contiene la stella di David Ebraica, la mezzaluna Mussulmana, la croce Cristiana insieme con il quadrato e il compasso della Massoneria. Un'altra realtà che ha visto Il 25 gennaio di quest'anno installare Nadim Mansour come Gran Maestro della Gran Loggia d'Israele per gli anni 2011-2013. Il Fr. Mansour è un greco-ortodosso arabo palestinese, che è nato a Haifa, e si è trasferito a San Giovanni d'Acri, all'età di 5. Egli è stato iniziato a Lewis nel 1971 nella Loggia Akko, una loggia di cui suo padre era un membro fondatore. Nel 1980 fu eletto Maestro della sua loggia. Un'altra realtà, quella della massoneria israeliana e della sua eterogenea composizione, che in questi tempi grevi, come la candela sul davanzale, rompe il buio della intolleranza e del fanatismo indicando un'altra via, un'altra casa.
Fonte : rdyork
domenica 29 maggio 2011
Lamezia Terme (CZ), 27.05.2011 : Il Gran Maestro Luigi Pruneti in visita al tempio di Lamezia Terme.
Il Gran Maestro Luigi Pruneti si è recato in visita al tempio di Lamezia Terme, alla presenza della delegazione magistrale e dell'ispettorato provinciale.
Fonte : Gran Loggia d' Italia, Fr:. Stefano Brasca
Il mistero del Castrum Petrae Roseti.
Della rosa fronzuta / diventerò pellegrino; / ch’io l’aggio così perduta. / Perduta non voglio che sia, / né di questo secolo gita, / ma l’uomo che l’ha in balia, / di tutte gioie l’ha partita…
Un affascinante percorso naturale, storico, religioso ed architettonico si snoda nell’ entroterra calabrese, in particolare fra le province di Cosenza e Crotone. Un percorso affascinante e misterioso che si coniuga con la “leggenda” e in cui sono riconoscibili numerose tracce che si impongono con forza alla furia del tempo e della modernità, tracce collegabili soprattutto all’età sveva ed all’ imperatore Federico II.
Federico II “Stupor Mundi” |
A quell’ imperatore “Stupor Mundi” che fu molto più di un imperatore: spirito raffinato e indagatore, uomo di scienze e di lettere, personaggio affascinante, dal grande spessore politico e culturale, dalla versatilità creativa, dal vigore vitale, dalla forza equilibratrice che seppe dare, con parametri che a volte trascendono la stessa norma e la stessa coscienza del Medioevo, vigore ed orgoglio alle genti del meridione.
Questo percorso calabrese legato a Federico II è tracciato dal sentiero che collega idealmente i tanti castelli federiciani del meridione d’Italia.
Mare Roseto |
Nelle limpide e cristalline acque del mar Jonio, l’antico mare della Calabria Citeriore, in quel mare miceneo dove la leggenda volle nacque Venere, il mito pagano e cristiano si coniugano perfettamente. In quel tratto di mare denominato “ Costa degli Achei”, con chiaro riferimento alla frequentazione achea della zona, tra la foce del fiume Ferro a nord e la foce del Trionto a sud, nella Piana di Sibari, è incastonata la cittadina di Roseto Capo Spulico. Il nome Roseto deriva dal latino "rosetum" in quanto in questo territorio era diffusa la coltivazione delle rose che crescevano anche nei mesi rigidi, mentre la dicitura Capo Spulico è stata aggiunta nel 1970 perchè il comune è vicino al “Capo Spulico”, che separa il Golfo di Taranto da quello di Corigliano Calabro e un tempo era il confine tra la Sibaritide e la Siritide.Nell’antichità Roseto era una delle venticinque città che gravitavano intorno a Sibari, la più famosa colonia achea. Caduta la Magna Grecia, si trovò sotto la dominazione romana. La Roseto odierna nacque nel X secolo d.C. e raggiunse il suo massimo splendore intorno al 1260 in epoca federiciana. La Calabria, infatti, era parte integrante del regno di Federico II di Svevia e faceva parte di una delle due grandi circoscrizioni amministrative: il Capitanato Generale «a flumine Tronto usque ad portam Roseti» comprendente la Campania, la Puglia e la Lucania, e quello «a porta Roseti usque ad flumen Salsum» comprendente appunto la Calabria e la Sicilia orientale.
Roseto Capo Spulico: Castello di Roseto, nel “Castrum Petrae” |
Proprio nel territorio di Roseto Capo Spulico, incastonato nella roccia, su uno scoglio leggermente rialzato, in riva alle chiare acque del mare Jonio, sorge un magnifico e misterioso castello, il Castrum Petrae Roseti, che fa parte del sistema dei castelli federiciani sparsi nella Penisola, una serie di avamposti che l’imperatore volle edificare per controllare e preservare il suo territorio.
L’origine del maniero non è ancora ben precisata, ma si ritiene che la fortificazione possa risalire ad epoca pre-federiciana, quando Roberto il “Guiscardo” e il fratello Ruggero si divisero la Calabria e decisero di eleggere la “Porta Roseti” quale confine dei relativi possedimenti. Nel 1229, già Tempio dell’Ordine, il maniero fu requisito da Federico II ai Cavalieri Templari, per ritorsione al loro tradimento durante la VI Crociata in Terra Santa (1228). Il primitivo complesso fortificato fu poi ristrutturato dall’imperatore e riadattato a fortezza militare. L’intrusione angioina nel Mezzogiorno d’Italia procurò altri rimaneggiamenti all’edificio. Recentemente sottoposto a lunghi interventi di restauro, il castello è stato dotato di un piccolo anfiteatro all’aperto, all’interno del quale nei mesi estivi vengono ospitate manifestazioni culturali.
Roseto Capo Spulico: Castello di Roseto, nel “Castrum Petrae” |
Di pianta trapezoidale, e’ circondato da mura merlate che sul lato sud si aprono in un ampio ingresso con un imponente portale in stile gotico che conserva ancora la rosa crociata, i petali di giglio, il cerchio di Salomone e lo stemma con grifone, emblema del casato Svevo. La struttura presenta possenti torri, una delle quali più alta, merlata, è a pianta quadrangolare. All’interno della rocca vi sono un ampio cortile, dotato di cisterna centrale, i resti delle scuderie, magnifici e ampi saloni.
Ma c’è qualcosa di misterioso che aleggia attorno al Castrum Petrae Roseti: negli anni recenti esso è divenuto sempre più insistentemente oggetto di studio non solo per gli storici, ma anche argomento trattato da scienze religiose, mistiche ed esoteriche. A questo proposito, circa la derivazione di questo castello da modelli templari alchemico-esoterici si è espressa una recente ipotesi, che ne farebbe derivare le forme dal Tempio di Gerusalemme.
Sul portale del castello, come ho scritto sopra, è inciso il simbolo della rosa crociata e il castello è citato dall’alchimista Robert Floudd come uno “ dei soli nove collegi al mondo dove i Rosacroce risiedevano” ( i “Rosa Croce” erano un ordine segreto, nato nel XV secolo e la cui conoscenza venne diffusa nel XVII secolo, ed erano probabilmente riformatori religiosi e morali, che utilizzavano mezzi per l’epoca ritenuti scientifici, in particolare l’alchimia, per far conoscere le proprie opinioni ). Inoltre, sempre secondo questi ultimi studi, ci sarebbe anche un altro episodio da correlare a questi simboli templari e rosacrociani sparsi per il castello.
Sindone |
Si ipotizza infatti che la torretta centrale abbia ospitato, nel periodo compreso tra il 1204 e il 1253, la Sacra Sindone, o meglio le Sacre Bende che avrebbero ricoperto dopo la morte il corpo di Cristo.
Nel settembre del 1999 le principesse Yasmin e Kathrin Von Hohenstaufen, discendenti dirette di Federico II di Svevia, sostennero di aver scoperto negli archivi delle cappelle di famiglia un documento di epoca normanna secondo il quale la Sindone, le Sacre Bende ( Sindone et Sudario Christi) e l’Onfale ( Loculo Ubi Christi Cenavit) contenente il Santo Graal, non solo sarebbero appartenuti a Federico II, ma sarebbero anche transitati proprio dal Castello di Roseto Capo Spulico.
Questa casuale scoperta avrebbe consentito di dimostrare dove vennero custodite le sacre bende nel periodo in cui scomparvero, prima che riapparissero intorno al 1356. Nel 944 d.C. le sacre bende vennero trasportate a Bisanzio dopo essere state esposte e venerate ad Edessa ( l’attuale Urfa, in Turchia) . A Bisanzio gli imperatori conservarono le reliquie con immensa cura fino a quando , in seguito al saccheggio della città operato dai crociati nel 1204, se ne persero le tracce. Misteriosamente , intorno al 1356 , il nobile francese Geoffroy de Charny espose in una chiesa del suo feudo un sudario che venne presentato come quello in cui era stata composta la salma di Cristo. Da allora la reliquia compì un cammino che si concluse a Torino, dove è custodita tuttora.
Dunque del lenzuolo si persero le tracce proprio nel periodo compreso tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo. Fu appunto in questo periodo che, secondo le ricerche dettagliate delle principesse Von Hohenstaufen, l’imperatore Federico II venne in possesso delle Sacre Bende ereditandole dal Barbarossa che le aveva inizialmente celate nel Monastero di Buren a Lorch ( a dieci chilometri dal castello Hohenstaufen).
Federico II portò quindi le reliquie con sé nella Corte Itinerante e le custodì, tra l’altro, proprio nel Castello di Roseto, nel “Castrum Petrae”.
Le Bende e la Sindone furono scippate a Federico II durante l’eccidio di Parma nel 1248 e l’imperatore non si diede pace. Fu proprio da quel momento che egli divenne il “pellegrino” della “ Rosa Fronzuta”, come appunto egli amava chiamare il sacro lenzuolo, il lenzuolo che conteneva la “rosa” più pura del paradiso, il Cristo.
La tesi delle principesse eredi di Federico II sono state pienamente accolte anche dall’eminente studioso di sindonologia, il prof. Baime Bollone, che le considera degne di attenzione.
Il nome della principessa Kathrin von Hohestaufen, inoltre, è legato anche ad una rivelazione derivante da una scoperta quasi casuale.
Graal |
Durante gli ultimi lavori di ammodernamento del maniero di Roseto Capo Spulico , un muratore avrebbe per caso scoperto un palla ovoidale in calce e pietra con i simboli templari dell’Agnello mistico, della Croce e del Giglio dove, secondo la tesi della principessa, sarebbe stata conservata la coppa del “Graal”, il calice in cui Gesù Cristo istituì l’Eucarestia durante l’Ultima Cena e dove nel suo interno, il giorno successivo, Giuseppe d’Arimatea avrebbe raccolto il sangue del Redentore, dopo averlo calato dalla croce. Dunque , questo oggetto simbolo, ammantato di fascino e mistero e fonte di ispirazione per la letteratura, la musica,la scienza e l’arte, la cui ricerca ha impegnato nei secoli cavalieri e ricercatori, a ancora oggi, periodicamente, viene riproposta attraverso opere letterarie o indagini storiche, avrebbe trovato ospitalità, insieme alle Sacre Bende, tra le mura del “Castrum Peatre Roseti”.
“Della Rosa Fronzuta sarò Pellegrino” è una pièce teatrale, patrocinata dall’UNESCO, scritta dalla principessa Yasmin Von Hohenstaufen per la quale la principessina Kathrin è autrice della colonna sonora celtico-medievale.
La Principessa Katrin von Hohenstaufen, medico chirurgo onco-ematologo di fama internazionale, ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Roseto capo Spulico e, proprio per i suoi studi storici sull’ itinerario delle reliquie del Golgota ha ricevuto altresì un Charter di riconoscimento dal Cardinal Ersilio Tonini.
Grazie a Roseto Capo Spulico e a Federico II la Calabria acquista a pieno titolo un posto di grande rispetto nell’alveo del più grande mistero della cristianità, quello legato al Sacro Graal e alla sua “quête”.
C’è dunque uno stretto legame tra questa terra e gli avvenimenti che a Gerusalemme , circa duemila anni fa, hanno cambiato il corso della storia.
Ogni luogo della Calabria nasconde uno scrigno di storia, leggende, valori, arte, cultura. Non averlo fatto conoscere ai più è stato il vero delitto della politica e del modo culturale calabrese.
Sezione : Crestomazia - Storia/Cultura
Fonte : Loredana Chiarello
venerdì 27 maggio 2011
Borsa di studio “Giovanni Ghinazzi”.Cerimonia di consegna sabato 28 Maggio 2011 ore 17.30 Cinema Teatro di Cariati – Cosenza
Loggia d’Italia Vincenzo Romano, del Grande Ispettore Provinciale della Provincia massonica Magna Graecia della Gran Loggia d’Italia Gaetano Fraia. Presenterà l’iniziativa Roberto Parise, consigliere del Centro Sociologico Italiano Magna Graecia. Si procederà con gli interventi i dei Dirigenti Scolastici Pietro Calabrò e Serafino Donnici che hanno collaborato alla valutazione degli elaborati. Le conclusioni della cerimonia saranno affidate al Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori di Piazza del Gesù Palazzo Vitelleschi, Luigi Pruneti.
Alliance franco-belge des Grands Orients pour du lobbying européen
A Strasbourg, les Grands Maîtres Guy ARCIZET, pour le Grand Orient de France, et Jef ASSELBERGH, pour celui de Belgique, ont signé le 21 mai une « ALLIANCE pour la MAÇONNERIE EUROPÉENNE« . L’objectif des deux hauts dignitaires est clair : améliorer leur représentation auprès des instances européennes. Notamment au niveau de l’Union européenne qui a admis que les obédiences maçonniques adogmatiques devaient être entendues. Et pas seulement les religions.
Les deux obédiences, GODF et GOB, ont mis en avant -en trois points ! – ce qui constituent leur socle de valeurs et de principes communs à promouvoir.
De passage à Paris, Jef Asselbergh vient de m’expliquer que cette alliance GODF-GOB va permettre de commencer à clarifier les relations entre la franc-maçonnerie et les instances européennes, alors qu’aujourd’hui « tout le monde se bouscule au portillon« . « Avec cette initiative commune, nous avons l’intention d’attirer l’attention, ajoute Asselbergh. En espérant être rejoints par d’autres obédiences libérales en Europe. »
A titre d’exemple d’intervention commune, Jef Asselbergh cite les problèmes éthiques que pose la Procréation Médicalement Assistée. Le dignitaire belge rencontre ce soir son homologue français à Paris afin de préciser davantage leur programme d’interventions communes.
Le Grand Orient de Belgique, fort de 10 200 frères, est la première obédience du pays, comme le GODF.
Fonte : Lexpress
mercoledì 25 maggio 2011
Mayo 26-30, 2011 : IX Encuentro Internacional Masónico “JUÁREZ-MARTÍ-DUARTE-BOLÍVAR” a celebrarse en Santo Domingo-Baní, República Dominicana.
SANTO DOMINGO.-La Respetable Logia Masónica 16 de Agosto, anunció que se celebrará desde el 26 al 30 de mayo en Santo Domingo y Baní el IX Encuentro Masónico Internacional Juárez - Martí – Duarte – Bolívar.
El venerable maestro Osiris Blanco Domínguez informó que en el encuentro participaran más de 100 representantes de la masonería de Cuba, México, Colombia, Miami, New York, New Jersey y República Dominicana y se reúnen en el país para unificar puntos de vista, mediante la realización talleres de trabajos masónicos y crear lazos fraternos de unión y amistad entre las distintas Logias Masónicas participantes.
De igual forma, el encuentro ha sido precedido por actos similares en Pereyra, Colombia, Vera Cruz, Pachuca, CuernaVaca, Puebla, New Jersey, Miami y contará en el país con una nutrida delegación de masones de la Isla de Cuba, encabezada por el orador de la gran Logia de Cuba y candidato a gran maestro, el ilustre Gilberto Saturnino Betancourt Gil, entre otros.
También estará presente José Fernando López Arias, ex gran maestro y pasado soberano gran comendador del Oriente Mexicano de Veracruz, y fundador de dichos encuentros.
Además contará con una importante delegación del Oriente de Pereyra, Colombia, presidida por Jhon Jairo Catano y Carlos Rivera.
Dijo que el presidente de los encuentros Orlando Rodríguez Betancourt, acompañado del gran maestro de la gran Logia de Cuba, en el exterior Mario Roque de Escobar y el soberano gran comendador para el oriente hispano de la Florida, Gabriel Vieira, juntos al venerable maestro de la benemérita Logia Miguel Teube Tolon, Conrado Lezcano de Estado de New Jersey y otros venerables maestros y dignatarios masónicos del oriente de la Florida, encabezaran la delegación que proceden de Estados Unidos de América.
Fonte : FENIX, .L.M.Teurbe Tolon
50ª Conferencia de los Soberanos Grandes Comendadores de Europa y de Países Asociados y Celebración del 200º Aniversario del Supremo Consejo para España Madrid, del 25 al 28 de mayo de 2011
50ª Conferencia de los Soberanos Grandes Comendadores de Europa y de Países Asociados
y Celebración del 200º Aniversario del Supremo Consejo para España
Madrid, del 25 al 28 de mayo de 2011
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50 th Conference of the Sovereign Grand Commanders of Europe and Associated Countries
and Celebration of the 200 th Anniversary of the Supreme Council for Spain
Madrid , from May 25 th to 28 th, 2011
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50 ième Conférence des Souverains Grands Commandeurs d'Europe et des Pays Associés
et Célébration du 200 ième Anniversaire de la fondation du Suprême Conseil pour l'Espagne
Madrid, du 25 au 28 Mai 2011
Fonte :
Supremo Consejo del grado 33 y último del Rito Escocés Antiguo y Aceptado para España
PROGRAMA RADIAL "LA MASONERIA EN CORDOBA Y ARGENTINA"
"Sucesos de Nuestra Historia"
104.7 FM, 1350 AM, y www.radiosucesos.com
25 de Mayo a las 20:00 hs
104.7 FM, 1350 AM, y www.radiosucesos.com
25 de Mayo a las 20:00 hs
Todo lo que hay que saber dla masoneria en Argentina y Cordoba.
San Martin era mason?
Cual fue la influencia de la masoneria en la Revolucion de mayo del 1810?
Esta y todas tus preguntas se rebelaran
Invitado: Profesor Doctor Enrique Morra autor del libro "Historia de la Masoneria en Cordoba" Un especialista en el tema.
Conduce: Rogelio Lopez Guillemain
Comuniquese con nosotros a traves de audiencia@radiosucesos.com o via sms 153506360 o al 0351- 4601010
Fonte : Rogelio Lopez Guillemain
CONCURSO INTERNACIONAL DE ENSAYO MASÓNICO
RED MASONICA
La Red Internacional de la Masonería más grande del Idioma Español pone en marcha el
"ORDEN DEL ÁGUILA MASÓNICA”
"
Bajo las siguientes bases:
1.- El Ensayo a presentar es sobre temática masónica libre, presentando un trabajo original, inédito, no publicado anteriormente, con extensión libre, mediante archivo de Word. 2.- Cubrir la cuota del concurso correspondiente a $6.00 dólares americanos o su equivalente en moneda extranjera mediante paypal a la siguiente dirección:
https://www.paypal.com/cgi-bin/webscr?cmd=_s-xclick&hosted_button_id=Y6XLRG5UDRDS6
3.- Una vez hecho el pago enviar el ensayo en archivo adjunto en formato de Word a la dirección de correo electrónico: redmasonica@yahoo.com
Los datos que debes enviar en el correo son los siguientes:
- NOMBRE:
- DIRECCIÓN INCLUYENDO PAÍS:
- NÚM. DE TELÉFONO:
- LOGIA EN LA QUE TRABAJAS O TRABAJASTE:
- ÚLTIMO GRADO SIMBÓLICO:
- RITO QUE TRABAJAS:
- FECHA DE PAGO:
Aprendices, Compañeros y Maestros y dependiendo del grado del participante es la categoría en la que concursará.
4.- La fecha límite para hacer el pago y enviar el trabajo es el día 2 de Julio 2011.
5.- El Jurado estará compuesto por personajes reconocidos internacionalmente en el ámbito masónico; después de la fecha límite se enviarán a los jurados los ensayos para su calificación, cabe mencionar que los jurados del concurso no conocerán la identidad de los concursantes por lo que esto garantizará total transparencia para quienes resulten ganadores.
6.- Habrá tres premios por cada categoría (primer, segundo y tercer lugar) los cuales consistirán en un reconocimiento y un premio (que dependerá del número de concursantes pues la cuota que se cobra se usará con la finalidad de adquirir los premios), asimismo se hará una selección de los mejores trabajos y se hará un libro electrónico para su difusión, por lo que los concursantes aceptan la publicación de su ensayo y la cesión de derechos para esta publicación.
7.- Los resultados del concurso se darán a conocer durante el mes de Agosto del 2011. Cualquier situación no prevista del concurso o dudas al respecto favor de enviar un correo a: redmasonica@yahoo.com
Fonte : Víctor Guerra. MM.:. Rito Francés. Miembro de Red Masónica
La participación de la masonería el 25 de Mayo de 1810
La Plata - Durante años, la participación de la masonería -organización discreta no secreta- en los sucesos de mayo de 1810, ha sido objeto de múltiples discusiones y no menos desencuentros. Sin embargo, se puede afirmar sin temor a equívoco, que a la Masonería Rioplatense de la época, no sólo le cupo una decidida acción en dichos acontecimientos, sino además, que su intervención resultó decisiva para el éxito del movimiento revolucionario. Sus lemas fueron la Libertad, la Igualdda y la Fraternidad.
Conmemorar la Revolución de Mayo de 1810, conlleva la necesidad de rescatar los tres aspectos etimológicos del vocablo: Hacer memoria, Honrar la memoria y Hablar de esa memoria.
Tradicionalmente, los homenajes a la fecha patria, reconocen sólo dos de estos aspectos: el honrar y el hablar -triada filofófica y básica-. En efecto si se repasan tanto los desarrollados a nivel educativo como luego los institucionales, observamos que, básicamente se dirigen a reivindicar la figura de los protagonistas, honrando así su memoria o a mencionar circunstancias, las más de las veces anecdóticas y pueriles sobre el acontecimiento, hablando de esta manera del acontecimiento, sin llegar casi nunca al tercer y más importante aspecto, es decir el Hacer o el Construir la memoria del hecho Revolucionario.
Se advertirá que, a esta última finalidad se aviene con particular eficacia no sólo la definición vulgar de la voz “triada”, sino la complementaria y enriquecida del neoplatonismo, que ve en la misma, a más del conjunto de tres cosas o personas, la unión del ser, la inteligencia y el alma de las cosas y los acontecimientos (4).
La utilización del ternario, sus diversas acepciones y derivaciones en el trabajo de esta noche, no han de verse únicamente como juego dialéctico, etimológico o simbólico, sino como un medio particularmente masónico de edificar la memoria de la Revolución de Mayo 1810, a partir de un conjunto de triadas, usualmente pasadas por alto, y de las cuales, la primera, está dada por la propia estructura del acta suscripta entonces que consta en el Cabildo, la que analiza sólo tres aspectos del hecho histórico, en el siguiente orden: antes que nada, sus antecedentes, en segundo lugar la Revolución en sí, y finalmente, la participación en dicho movimiento.
Algunos de sus Antecedentes.
Razón le asiste a Felipe Pigna cuando afirma que “los hechos de Mayo son absolutamente inexplicables sin la comprensión necesaria de la situación europea”(5).
Una triada de nombres, usualmente no mencionados, pueden constituir un primer modo de acercamiento a la comprensión de aquella situación. Nos referimos a JAMES WATT, MANUEL GODOY y a Doña CARLOTA JOAQUINA.
El primero, nacido en Birmingham, Inglaterra, el 19 de enero de 1.736, aprendió de su padre el uso de las herramientas y útiles náuticos. A la vez, su pasión por las matemáticas lo trasladó a Londres, lugar donde a más de la docencia, pudo dedicarse al estudio de los usos y aprovechamiento del vapor, logrando desarrollar la “máquina de vapor” que le daría celebridad. La genial invención habría de difundirse inmediatamente en Gran Bretaña, pasando luego a Francia y al resto del continente europeo. Este hecho tecnológico significó el nacimiento de la industrialización a gran escala, de la producción en masa, a la vez que cimentó el afianzamiento del capitalismo; circunstancias todas que confluyeron a gestar el fenómeno universalmente conocido como “revolución industrial”, operándose a partir de la misma los más profundos cambios no sólo en lo económico, sino también en lo político y en lo social.
En lo que hace al tema que nos ocupa, creemos que lejos habría de estar nuestro James Watt de tal siquiera imaginar que este movimiento, derivado de su inventiva y amor a la mecánica, devendría en lo inmediato en el conflicto entre Inglaterra y Francia por el control de los mercados y tendiente a plasmar la preeminencia económica de alguna de las dos potencias. La necesidad de ubicar los productos, ahora fabricados masivamente, y la de asegurar las materias primas necesarias para su elaboración, involucran en la disputa a la América Hispana, tanto como potencial adquirente de los primeros, como proveedora de las segundas.
El segundo, Don Manuel Godoy, natural de Badajoz, nacido el 12 de mayo de 1.767 supo desde joven granjearse la simpatía de la Corte Española, al extremo de que a los 22 años se erige en el favorito del Rey Carlos IV y amante de su esposa, la reina María Luisa. Desde tan privilegiada posición, puede decirse que desde 1.789 maneja los destinos de España para contento de sus amigos y desgracia de sus enemigos. Entre aquellos deben contarse a los partidarios de las luces y de la educación y entre los últimos a los ultramontanos, sostenedores del poder eclesiástico. A la vez que puso freno a la inquisición, permitió el regreso a España de los judíos, propulsó la educación creando Colegios y Universidades entre las que destacan el real Colegio de Medicina, el Cuerpo de Ingenieros y la Escuela de Veterinaria. Sin embargo, la posteridad ha de recordarlo como el responsable directo de la caída del reino español en manos de Napoleón, luego de las vergonzosas abdicaciones de Bayona que culminaron con el alejamiento de Carlos IV y posteriormente de su hijo Fernando VII.
Tampoco creemos que por la mente del “favorito” Godoy, pasara que tras la pérdida de España, de alguna manera por él permitida, se facilitaría en gran medida la tarea emancipadora americana, al darle a los patriotas su más sólido argumento ideológico-jurídico, basal de la civilización occidental: La desaparición de la metrópoli revertía la soberanía en el pueblo, el que a partir de ese momento, tenía el derecho de darse un nuevo gobierno.
La tercera, Doña Carlota Joaquina, hija de Carlos IV, hermana de Fernando VII, nacida en 1.755 y casada con Juan VI de Portugal, en la idea, concebida por Floridablanca, de afianzar la unión entre España y Portugal, supo distinguirse como mujer enérgica, interesada en los asuntos públicos y de grandes ambiciones. La invasión napoleónica a Portugal en 1.807 hizo que la Corte Portuguesa se trasladase a Brasil, instalándose en Río de Janeiro e intentando extender sus dominios al Virreinato del Río de la Plata. Su condición de única miembro de la familia real española en libertad, alimentaron sus ansias en tal dirección, no habiendo sido pocos sus partidarios entre los patriotas de mayo.(6)
No pensamos que la Infanta haya presupuesto, que la prodigalidad de sus ambiciones, señalase a los Americanistas del Plata la necesidad de acortar los plazos y acelerar las decisiones, en vistas de una situación europea que, a 1.810 se presentaba como inmejorable a sus designios independentistas.
El análisis de los antecedentes, obliga a considerar también la influencia que sobre los acontecimientos de Mayo de 1.810 debe atribuirse al “absolutismo español”. El estudio del mismo nos permite arriesgar una nueva “triada”, ya que como bien señala Juan González Calderón, el absolutismo de España se manifestaba en lo político, lo económico y lo religioso. (7)
El absolutismo político, instrumentado por el nombramiento de las autoridades ejecutivas y administrativas por el rey; la legislación de Indias dictada en la Metrópoli, con expresa prohibición de representación popular alguna que significase la participación de los naturales, tendía a la formación de dóciles vasallos en vez de ciudadanos libres. Esto, sumado al desprecio de que eran objeto los americanos por parte de los españoles europeos, fue produciendo una diferenciación en dos clase sociales que tendrían la oportunidad de enfrentarse en el movimiento de mayo.
El absolutismo económico, caracterizado por restricciones injustificadas al comercio y un sistema fiscal opresivo, imponía a las colonias el peso de una metrópoli que se reservaba para sí altos lucros en la intermediación con la nueva Europa industrial, negando a sus dominios americanos la posibilidad de un contacto directo con ella, con la consiguiente doble ventaja que este hecho hubiese implicado, primero en cuanto al pago de menores precios de importación, y segundo por la mayor ganancia derivada de la exportación de los productos locales.
El tercer elemento de esta triada, el absolutismo religioso, implantado a través de la legislación indiana, que hería al americano en lo más profundo de su ser, violentando arbitrariamente su libertad de conciencia. Basta recordar la Ley 28, lib. 1º, tít. 1 que establecía la confiscación de la mitad de los bienes a todo aquel que muriese sin “confesar devotamente sus pecados y recibir el santísimo sacramento de la Eucaristía, según lo dispone nuestra Santa Madre Iglesia”. En sentido similar, la Ley 15, lib. 1º, tít. 24, disponía “que no se concedan licencias para imprimir libros en sus distritos y jurisdicciones, de cualquier materia o calidad que sean, sin proceder la censura, conforme está dispuesto y se acostumbra”.
La Revolución
A modo de introito, vaya una triada de citas:
“En el mes de mayo, me mandaron llamar mis amigos de Buenos Aires, diciéndome que era llegado el caso de trabajar por la patria para adquirir la libertad e independencia deseada, volé a presentarme y hacer cuanto estuviese a mis alcances”. Manuel Belgrano.(8)
“La Revolución de Mayo de 1810, es el acontecimiento más importante ocurrido en estas tierras en el siglo XIX . . . marcó el comienzo de trascendentes transformaciones políticas, sociales, culturales e ideológicas en la sociedad rioplatense”. Félix Luna. (9)
“Los sucesos de Mayo merecen ser estudiados en sus menores detalles. Anuncian la alborada espléndida de una nación de inmenso porvenir”. Alberto Palcos.(10)
Remarcada por los citados la importancia del tema, antes de su desarrollo, concédaseme una licencia a fin de poder remontarme brevemente a la etimología de la voz “mayo”. Es posible que estas breves separatas del tema principal aparezcan como ociosas, pero al rescatar la importancia de esta ciencia como “historia de las palabras”, de hecho que la misma puede ayudarnos a desentrañar los primeros conceptos de los vocablos. En tal sentido, recordemos que el mes de mayo es el tercero del calendario masónico y quinto del gregoriano. De sus orígenes latinos rescatamos la voz “maius” de significación mes de “maia”, Diosa de la primavera entre los antiguos romanos, lo que aseguraba a su mes la prodigalidad en dones. De allí, la tal vez inconsciente coincidencia con la precedente cita de Palcos en cuanto a la palabra “alborada”, utilizada por éste a modo de nacimiento o génesis de la nueva Nación.
Disgresiones aparte, cabe ahora adentrarnos en el tema de fondo: “La Revolución”.
En aras del orden propuesto en el epígrafe, se propone a los lectores una primera triada para la consideración del hecho revolucionario. Partiendo de la llegada al Puerto de Montevideo de la fragata inglesa “John Paris” el día 13 de mayo, con la noticia de la caída de Sevilla en manos de Napoleón, se precipitan los acontecimientos en Buenos Aires, en una sucesión cronológica de tres fechas de cuyo análisis no podemos prescindir: el Cabildo Abierto del día 22, la Contrarrevolución y el Cabildo del 25.
La primera, la del cabildo del 22. Antes y más allá de su trascendencia en orden al resultado de su decisorio, debe rescatarse por su valor como expresión primigenia de la soberanía popular en esta parte de la América. De los 450 invitados, concurrieron 251, de los cuales 94 eran comerciantes, vecinos y hacendados, 93 empleados y funcionarios, 60 jefes y oficiales de mar y tierra, 27 profesionales liberales y 25 clérigos y frailes. La cuestión medular a determinar era responder al interrogante de saber “si se ha de subrogar otra autoridad a la superior” que ejercía el virrey en nombre de Fernando VII, y en caso afirmativo, ¿en quién debía recaer la designación?. No viene a cuento reseñar las largas discusiones sobre el particular, sino enfocar la atención sobre los aspectos más relevantes del debate, rescatando al efecto una triada de oradores, que resumen las distintas posiciones. Al primero que nos referimos es al Obispo Benito de Lué y Riega, quien enfáticamente negó el derecho de los americanos para hacer innovaciones en el gobierno, rescatando el hecho de que las Indias eran propiedad de España y de sus hijos quienes eran los únicos con derecho a gobernarlas. La soberanía del gobierno residía en España y era privativa de españoles. Correspondió a los masones Castelli y Paso rebatir dichas argumentaciones y sentar con singular acierto la doctrina de la autodeterminación soberana de los pueblos. Castelli, formado en Chuquisaca, ilustrado tanto en las doctrinas de la soberanía popular de Domingo de Soto, Francisco Suarez y Francisco de Vitoria, conocía por otro lado las más modernas concepciones contractualistas de Rousseau, Hobbes y Locke. Sostuvo en la oportunidad que habiendo caducado la España, con ella también lo han hecho sus autoridades, correspondiendo en consecuencia al pueblo reasumir la soberanía y designar las autoridades que estime convenientes a sus intereses. Como bien señala González Calderón (11), correspondió a Paso completar la exposición fundando la legitimación de Buenos Aires para actuar en nombre de todo el Virreinato, cuando sobre el particular señaló que “así como los hermanos o los amigos podían tomar legítimamente el negocio ajeno para beneficiar al ausente . . ., así una capital o un pueblo enterado del peligro común, tenía la facultad y el derecho de tomar la gestión del asunto, sin perjuicio de someterse después a la aprobación de sus condóminos o consocios . . .”. Las exposiciones reseñadas, fundantes de una nueva concepción referida al ejercicio de los derechos políticos, fue aprobada con amplitud, estableciéndose que el virrey debía cesar en el mando.
El segundo aspecto de la triada se vincula con la contrarrevolución orquestada desde el Cabildo, el que desconoció el pronunciamiento del pueblo a instancias de elementos realistas y reaccionarios, estableciendo en contra de lo expresamente decidido, una Junta de Gobierno encabezada por el Virrey antes depuesto.
Si bien los sucesos del 25 son ampliamente conocidos, no podemos dejar de remarcar que sólo la decidida acción del grupo patriota impidió la concreción de la maniobra contrarrevolucionaria, instaurando lo que la posteridad ha conocido como el “primer gobierno patrio”, objeto de esta conmemoración.
No podemos cerrar el capítulo revolucionario, sin mencionar una triada de sus efectos, que como principios básicos informan la Constitución de la Nación y constituyen los pilares sobre los que descansa nuestro sistema republicano: la soberanía popular, el sistema federal y el principio representativo.
La Participación Masónica.
Durante años, la participación de la masonería en los sucesos de mayo de 1810, ha sido objeto de múltiples discusiones y no menos desencuentros. Sin embargo, se puede afirmar sin temor a equívoco, que a la Masonería Rioplatense de la época, no sólo le cupo una decidida acción en dichos acontecimientos, sino además, que su intervención resultó decisiva para el éxito del movimiento revolucionario.
La aparición de nuevas obras sobre el tema, la reconsideración de antiguas fuentes documentales y la tarea de jóvenes investigadores deseosos de profundizar esta cuestión, han contribuido grandemente a echar luz sobre el particular. Así por ejemplo, un muy documentado trabajo de Enrique de Gandía, el examen minucioso de la autobiografías de Saavedra, Belgrano y Guido y los más recientes estudios de Patricia Pasqualli, permiten arribar a la ya esbozada conclusión de que: la actuación de las logias y de los masones del Río de la Plata fueron determinantes en los acontecimientos de Mayo de 1.810.
Para el estudio del tema, podríamos arriesgar una última triada, siguiendo el orden siguiente: -El Estado de la Masonería en el Río de la Plata a principios del siglo XIX-; -La Actuación de los Patriotas Masones- y -la Identidad entre el Ideario Revolucionario y el Masónico-.
En la “Independencia de América y las Sociedades Secretas”, Enrique de Gandía (12) realiza un pormenorizado análisis sobre el primer aspecto. Sostiene que para 1810, la masonería había adquirido importante desarrollo en Buenos Aires. Entre los testimonios citados, figura el del General Enrique Martínez, el que en carta a Andrés Lamas declara que “desde época remota existía la sociedad masónica y Peña y Vieytes pertenecían a ella”. La época a la que refiere es la del Virrey Sobremonte, cuando la logia fue descubierta a raíz de una fuerte tormenta que arrastró mandiles y demás ornamentos. Agrega el General que la Jabonería de Vieytes era el lugar donde se reunía la logia “Amigos de la Libertad”.
Tales circunstancias hacen que Gandía arriesgue que ya para 1.795 existían trabajos masónicos en la capital del virreinato. Menciona a la muy conocida Logia San Juan de Jerusalén fundada en 1.804 por Juan de Silva Cordeiro, y cita a Ignacio Núñez, que en sus recuerdos afirma que las Invasiones Inglesas contribuyeron grandemente al fortalecimiento de la labor masónica.
Por su parte, Francisco Grilló, en sus “Episodios Patrios”, revela una comunicación de la Gran Logia de Versalles de 1795, dirigida a la Logia Independencia de Buenos Aires. Sobre esta misma Logia, el Coronel inglés Santiago Burke, narra que cuando se iba de la ciudad en 1809, fueron a despedirlo “un número de las principales personas del lugar, mis viejos amigos de Independencia”.
El General Miller, de hecho poco afecto a la masonería, escribe en sus “Memorias”: “un club, llamado la logia, se ha introducido con el objeto ostensible de promover la emancipación de la América Española . . .”(14).
Los testimonios citados, revelan que a la fecha del movimiento emancipador, la masonería era importante en Buenos Aires y se expresaba a través de varias logias, entre las cuales, las más conocidas históricamente han sido la San Juan de Jerusalén, la Independencia o Amigos de la Libertad y la Sociedad de los Siete, todas anteriores a la Lautaro..
La importancia del estudio de la segunda cuestión, referida al accionar de los patriotas masones, queda de manifiesto por el protagonismo que los mismos tuvieron durante los sucesos revolucionarios y en la conformación de la Primera Junta de Gobierno.
Los autores citados, a los que podemos sumar el Dean Funes, Zinni y Alcibíades Lappas, coinciden en cuanto a la pertenencia masónica de: Saavedra, Belgrano, Moreno, Matías Irigoyen, Donado, Chiclana, Paso, Castelli, Nicolás Rodríguez Peña, Berutti, Guido y Vieytes, entre otros muchos (15). Muchos atentos lectores podrán advertir que los masones enunciados fueron los principales protagonistas del cabildo del 22, se los sucesos posteriores y del gobierno emanado del movimiento revolucionario.
Más que ilustrativo respecto al rol de la Orden y de los masones resulta el testimonio del General Tomás Guido, quien en sus Memorias revela tales circunstancias de modo insuperable, atendiendo a su condición de protagonista. Dice el ilustre militar y masón respecto a la tarea de los masones al tomar éstos conocimiento de la pretendida contrarrevolución: “En la tarde del mismo día fue publicado por bando el acuerdo clasificado de popular, proclamando una junta compuesta del Virrey Cisneros como presidente y de los señores Saavedra, Castelli, Sola e Inchaurregui. El pueblo pareció satisfecho de esta elección y los españoles se felicitaron de haber salvado del peligro de un trastorno fundamental viendo triunfante la autoridad del Virrey. Muy diferente sensación produjo tal inesperado desenlace en el club reunido a las ocho de la noche en la casa del señor Peña… Era pues necesario deshacer lo hecho, convocar nuevamente al pueblo y obtener del cabildo se prestase a reconsiderar ante otra reunión popular la sanción de la víspera… Se aproximaba el alba sin que aún se hubiese convenido sobre los elegibles. Hubo un momento en que se desesperó de encontrarlos. Gran zozobra y desconsuelo para los congregados en ese gran complot de donde nació la libertad de la República. La situación cada vez presentaba un aspecto más siniestro. En estas circunstancias el señor Don Manuel Belgrano, mayor del Regimiento de Patricios, que vestido de uniforme escuchaba la discusión en la sala contigua, reclinado en un sofá, casi postrado por largas vigilias, observando la indecisión de sus amigos, púsose de pie y súbitamente y a paso acelerado y con el rostro encendido de su sangre generosa, entró en la sala del club (el comedor de la sala del señor Peña), y lanzando una mirada altiva en rededor de sí y poniendo la mano derecha sobre la cruz de su espada: ¡ Juro dijo, a la Patria, y a mis compañeros, que si a las tres de la tarde el Virrey no hubiese sido derrocado, a fe de caballero yo lo derrocaré con mis armas¡… Luego todos volvieron a ocuparse de los candidatos y cuando parecía agotada la esperanza, don Antonio Berutti pidió se le pasase papel y tintero y como inspirado de lo alto, trazó sin trepidar los nombres de los que compusieron la Primera Junta.”(16).
El tercer aspecto de esta última triada, refiere a la identidad entre el ideario de Mayo y el masónico.
Si reflexionamos un minuto sobre el simbólico y bello aserto del Libro de la Ley Sagrada - la Biblia-: “. . .por sus frutos los conoceréis”, no ha de resultar una temeridad afirmar que lo que el movimiento revolucionario de mayo produjo y plasmó en la sociedad civil, no fue más que la manifestación externa del ideario humanístico de la masonería, sintetizado en su lema de LIBERTAD, IGUALDAD y FRATERNIDAD.
El denominado “Espíritu de Mayo”, como ya se dijera, base y programa del ordenamiento constitucional argentino, reconoce como su más importante fuente a las enseñanzas de la masonería vinculadas con la soberanía popular, la autodeterminación de los pueblos, la igualdad jurídica, la división de poderes, la representación, las libertades de pensamiento, expresión y conciencia, tan largamente trabajadas y estudiadas en la serenidad de los templos y bellamente labradas en el corazón de cada masón.
Para los masones, el “Espíritu de Mayo”, encarnación político-institucional del “Espíritu Masónico”, debe ser motivo de permanente recordación entre nosotros; de la misma forma en que la conducta de quienes precedieron ha de ser motivo de emulación; pero como la obra comenzada en mayo de .810 lejos está aún de ser terminada, es obligación de la ciudadanía argentina, preparada para ser del mundo y abierta a los desafíos de sus tiempos, continuar con esos trabajos.
CITAS:
(1) Gómez de Silva, Guido, Breve Diccionario Etimológico de la Lengua Española, Fondo de Cultura Económica, Méjico, p. 691.
(2) Diccionario Universal Enciclopédico, Plaza y Janes editores, Barcelona, 1995.
(3) Bazot, M. , Manual de la Francmasonería, Angeres, 1845, Tomo II.
(4) Frau Aubrines y Rosendo Arúst Arderiú, Diccionario Enciclopédico de la Masonería, Editorial Kier, Buenos Aires, 1962, T 2, p. 862.
(5) Pigna, Felipe, Los Mitos de la Historia Argentina, Grupo Editor Norma, Buenos Aires, 2004, p. 218.
(6) Idem., p 220.
(7) González Calderón, Juan, Derecho Constitucional Argentino, J. Lajouane Editores, Buenos Aires, 1930, T 1, p. 3.
(8) Belgrano, Manuel, Autobiografía, en Los Sucesos de Mayo, Ed. Jackson, Buenos Aires, 1945, p. 117.
(9) Luna, Félix, Historia Integral de la Argentina, Ed. Planeta, T 5, p. 380.
(10) Palcos, Alberto, Prólogo a los Sucesos de Mayo, op.cit., p. XVIII.
(11) González Calderón, Juan, op.cit., p.17.
(12) De Gandía, Enrique, La Independencia de América y Las Sociedades Secretas, Ed. Sudamérica - Santa Fe, 1994, p. 118 y ss.
(13) Idem., p. 125.
(14) Miller, John, Memorias del General Miller, Ed. Emecé, 1997, p. 259.
(15) Lappas, Alcibíades, La Masonería Argentina a Través de sus Hombres, Buenos Aires, 1966.
(16) Guido, Tomás, Reseña Histórica de los Sucesos de Mayo, en Los Sucesos de Mayo, op.cit., p. 185 y ss.
Conmemorar la Revolución de Mayo de 1810, conlleva la necesidad de rescatar los tres aspectos etimológicos del vocablo: Hacer memoria, Honrar la memoria y Hablar de esa memoria.
Tradicionalmente, los homenajes a la fecha patria, reconocen sólo dos de estos aspectos: el honrar y el hablar -triada filofófica y básica-. En efecto si se repasan tanto los desarrollados a nivel educativo como luego los institucionales, observamos que, básicamente se dirigen a reivindicar la figura de los protagonistas, honrando así su memoria o a mencionar circunstancias, las más de las veces anecdóticas y pueriles sobre el acontecimiento, hablando de esta manera del acontecimiento, sin llegar casi nunca al tercer y más importante aspecto, es decir el Hacer o el Construir la memoria del hecho Revolucionario.
Se advertirá que, a esta última finalidad se aviene con particular eficacia no sólo la definición vulgar de la voz “triada”, sino la complementaria y enriquecida del neoplatonismo, que ve en la misma, a más del conjunto de tres cosas o personas, la unión del ser, la inteligencia y el alma de las cosas y los acontecimientos (4).
La utilización del ternario, sus diversas acepciones y derivaciones en el trabajo de esta noche, no han de verse únicamente como juego dialéctico, etimológico o simbólico, sino como un medio particularmente masónico de edificar la memoria de la Revolución de Mayo 1810, a partir de un conjunto de triadas, usualmente pasadas por alto, y de las cuales, la primera, está dada por la propia estructura del acta suscripta entonces que consta en el Cabildo, la que analiza sólo tres aspectos del hecho histórico, en el siguiente orden: antes que nada, sus antecedentes, en segundo lugar la Revolución en sí, y finalmente, la participación en dicho movimiento.
Algunos de sus Antecedentes.
Razón le asiste a Felipe Pigna cuando afirma que “los hechos de Mayo son absolutamente inexplicables sin la comprensión necesaria de la situación europea”(5).
Una triada de nombres, usualmente no mencionados, pueden constituir un primer modo de acercamiento a la comprensión de aquella situación. Nos referimos a JAMES WATT, MANUEL GODOY y a Doña CARLOTA JOAQUINA.
El primero, nacido en Birmingham, Inglaterra, el 19 de enero de 1.736, aprendió de su padre el uso de las herramientas y útiles náuticos. A la vez, su pasión por las matemáticas lo trasladó a Londres, lugar donde a más de la docencia, pudo dedicarse al estudio de los usos y aprovechamiento del vapor, logrando desarrollar la “máquina de vapor” que le daría celebridad. La genial invención habría de difundirse inmediatamente en Gran Bretaña, pasando luego a Francia y al resto del continente europeo. Este hecho tecnológico significó el nacimiento de la industrialización a gran escala, de la producción en masa, a la vez que cimentó el afianzamiento del capitalismo; circunstancias todas que confluyeron a gestar el fenómeno universalmente conocido como “revolución industrial”, operándose a partir de la misma los más profundos cambios no sólo en lo económico, sino también en lo político y en lo social.
En lo que hace al tema que nos ocupa, creemos que lejos habría de estar nuestro James Watt de tal siquiera imaginar que este movimiento, derivado de su inventiva y amor a la mecánica, devendría en lo inmediato en el conflicto entre Inglaterra y Francia por el control de los mercados y tendiente a plasmar la preeminencia económica de alguna de las dos potencias. La necesidad de ubicar los productos, ahora fabricados masivamente, y la de asegurar las materias primas necesarias para su elaboración, involucran en la disputa a la América Hispana, tanto como potencial adquirente de los primeros, como proveedora de las segundas.
El segundo, Don Manuel Godoy, natural de Badajoz, nacido el 12 de mayo de 1.767 supo desde joven granjearse la simpatía de la Corte Española, al extremo de que a los 22 años se erige en el favorito del Rey Carlos IV y amante de su esposa, la reina María Luisa. Desde tan privilegiada posición, puede decirse que desde 1.789 maneja los destinos de España para contento de sus amigos y desgracia de sus enemigos. Entre aquellos deben contarse a los partidarios de las luces y de la educación y entre los últimos a los ultramontanos, sostenedores del poder eclesiástico. A la vez que puso freno a la inquisición, permitió el regreso a España de los judíos, propulsó la educación creando Colegios y Universidades entre las que destacan el real Colegio de Medicina, el Cuerpo de Ingenieros y la Escuela de Veterinaria. Sin embargo, la posteridad ha de recordarlo como el responsable directo de la caída del reino español en manos de Napoleón, luego de las vergonzosas abdicaciones de Bayona que culminaron con el alejamiento de Carlos IV y posteriormente de su hijo Fernando VII.
Tampoco creemos que por la mente del “favorito” Godoy, pasara que tras la pérdida de España, de alguna manera por él permitida, se facilitaría en gran medida la tarea emancipadora americana, al darle a los patriotas su más sólido argumento ideológico-jurídico, basal de la civilización occidental: La desaparición de la metrópoli revertía la soberanía en el pueblo, el que a partir de ese momento, tenía el derecho de darse un nuevo gobierno.
La tercera, Doña Carlota Joaquina, hija de Carlos IV, hermana de Fernando VII, nacida en 1.755 y casada con Juan VI de Portugal, en la idea, concebida por Floridablanca, de afianzar la unión entre España y Portugal, supo distinguirse como mujer enérgica, interesada en los asuntos públicos y de grandes ambiciones. La invasión napoleónica a Portugal en 1.807 hizo que la Corte Portuguesa se trasladase a Brasil, instalándose en Río de Janeiro e intentando extender sus dominios al Virreinato del Río de la Plata. Su condición de única miembro de la familia real española en libertad, alimentaron sus ansias en tal dirección, no habiendo sido pocos sus partidarios entre los patriotas de mayo.(6)
No pensamos que la Infanta haya presupuesto, que la prodigalidad de sus ambiciones, señalase a los Americanistas del Plata la necesidad de acortar los plazos y acelerar las decisiones, en vistas de una situación europea que, a 1.810 se presentaba como inmejorable a sus designios independentistas.
El análisis de los antecedentes, obliga a considerar también la influencia que sobre los acontecimientos de Mayo de 1.810 debe atribuirse al “absolutismo español”. El estudio del mismo nos permite arriesgar una nueva “triada”, ya que como bien señala Juan González Calderón, el absolutismo de España se manifestaba en lo político, lo económico y lo religioso. (7)
El absolutismo político, instrumentado por el nombramiento de las autoridades ejecutivas y administrativas por el rey; la legislación de Indias dictada en la Metrópoli, con expresa prohibición de representación popular alguna que significase la participación de los naturales, tendía a la formación de dóciles vasallos en vez de ciudadanos libres. Esto, sumado al desprecio de que eran objeto los americanos por parte de los españoles europeos, fue produciendo una diferenciación en dos clase sociales que tendrían la oportunidad de enfrentarse en el movimiento de mayo.
El absolutismo económico, caracterizado por restricciones injustificadas al comercio y un sistema fiscal opresivo, imponía a las colonias el peso de una metrópoli que se reservaba para sí altos lucros en la intermediación con la nueva Europa industrial, negando a sus dominios americanos la posibilidad de un contacto directo con ella, con la consiguiente doble ventaja que este hecho hubiese implicado, primero en cuanto al pago de menores precios de importación, y segundo por la mayor ganancia derivada de la exportación de los productos locales.
El tercer elemento de esta triada, el absolutismo religioso, implantado a través de la legislación indiana, que hería al americano en lo más profundo de su ser, violentando arbitrariamente su libertad de conciencia. Basta recordar la Ley 28, lib. 1º, tít. 1 que establecía la confiscación de la mitad de los bienes a todo aquel que muriese sin “confesar devotamente sus pecados y recibir el santísimo sacramento de la Eucaristía, según lo dispone nuestra Santa Madre Iglesia”. En sentido similar, la Ley 15, lib. 1º, tít. 24, disponía “que no se concedan licencias para imprimir libros en sus distritos y jurisdicciones, de cualquier materia o calidad que sean, sin proceder la censura, conforme está dispuesto y se acostumbra”.
La Revolución Iluminista
A modo de introito, vaya una triada de citas:
“En el mes de mayo, me mandaron llamar mis amigos de Buenos Aires, diciéndome que era llegado el caso de trabajar por la patria para adquirir la libertad e independencia deseada, volé a presentarme y hacer cuanto estuviese a mis alcances”. Manuel Belgrano.(8)
“La Revolución de Mayo de 1810, es el acontecimiento más importante ocurrido en estas tierras en el siglo XIX . . . marcó el comienzo de trascendentes transformaciones políticas, sociales, culturales e ideológicas en la sociedad rioplatense”. Félix Luna. (9)
“Los sucesos de Mayo merecen ser estudiados en sus menores detalles. Anuncian la alborada espléndida de una nación de inmenso porvenir”. Alberto Palcos.(10)
Remarcada por los citados la importancia del tema, antes de su desarrollo, concédaseme una licencia a fin de poder remontarme brevemente a la etimología de la voz “mayo”. Es posible que estas breves separatas del tema principal aparezcan como ociosas, pero al rescatar la importancia de esta ciencia como “historia de las palabras”, de hecho que la misma puede ayudarnos a desentrañar los primeros conceptos de los vocablos. En tal sentido, recordemos que el mes de mayo es el tercero del calendario masónico y quinto del gregoriano. De sus orígenes latinos rescatamos la voz “maius” de significación mes de “maia”, Diosa de la primavera entre los antiguos romanos, lo que aseguraba a su mes la prodigalidad en dones. De allí, la tal vez inconsciente coincidencia con la precedente cita de Palcos en cuanto a la palabra “alborada”, utilizada por éste a modo de nacimiento o génesis de la nueva Nación.
Disgresiones aparte, cabe ahora adentrarnos en el tema de fondo: “La Revolución”.
En aras del orden propuesto en el epígrafe, se propone a los lectores una primera triada para la consideración del hecho revolucionario. Partiendo de la llegada al Puerto de Montevideo de la fragata inglesa “John Paris” el día 13 de mayo, con la noticia de la caída de Sevilla en manos de Napoleón, se precipitan los acontecimientos en Buenos Aires, en una sucesión cronológica de tres fechas de cuyo análisis no podemos prescindir: el Cabildo Abierto del día 22, la Contrarrevolución y el Cabildo del 25.
La primera, la del cabildo del 22. Antes y más allá de su trascendencia en orden al resultado de su decisorio, debe rescatarse por su valor como expresión primigenia de la soberanía popular en esta parte de la América. De los 450 invitados, concurrieron 251, de los cuales 94 eran comerciantes, vecinos y hacendados, 93 empleados y funcionarios, 60 jefes y oficiales de mar y tierra, 27 profesionales liberales y 25 clérigos y frailes. La cuestión medular a determinar era responder al interrogante de saber “si se ha de subrogar otra autoridad a la superior” que ejercía el virrey en nombre de Fernando VII, y en caso afirmativo, ¿en quién debía recaer la designación?. No viene a cuento reseñar las largas discusiones sobre el particular, sino enfocar la atención sobre los aspectos más relevantes del debate, rescatando al efecto una triada de oradores, que resumen las distintas posiciones. Al primero que nos referimos es al Obispo Benito de Lué y Riega, quien enfáticamente negó el derecho de los americanos para hacer innovaciones en el gobierno, rescatando el hecho de que las Indias eran propiedad de España y de sus hijos quienes eran los únicos con derecho a gobernarlas. La soberanía del gobierno residía en España y era privativa de españoles. Correspondió a los masones Castelli y Paso rebatir dichas argumentaciones y sentar con singular acierto la doctrina de la autodeterminación soberana de los pueblos. Castelli, formado en Chuquisaca, ilustrado tanto en las doctrinas de la soberanía popular de Domingo de Soto, Francisco Suarez y Francisco de Vitoria, conocía por otro lado las más modernas concepciones contractualistas de Rousseau, Hobbes y Locke. Sostuvo en la oportunidad que habiendo caducado la España, con ella también lo han hecho sus autoridades, correspondiendo en consecuencia al pueblo reasumir la soberanía y designar las autoridades que estime convenientes a sus intereses. Como bien señala González Calderón (11), correspondió a Paso completar la exposición fundando la legitimación de Buenos Aires para actuar en nombre de todo el Virreinato, cuando sobre el particular señaló que “así como los hermanos o los amigos podían tomar legítimamente el negocio ajeno para beneficiar al ausente . . ., así una capital o un pueblo enterado del peligro común, tenía la facultad y el derecho de tomar la gestión del asunto, sin perjuicio de someterse después a la aprobación de sus condóminos o consocios . . .”. Las exposiciones reseñadas, fundantes de una nueva concepción referida al ejercicio de los derechos políticos, fue aprobada con amplitud, estableciéndose que el virrey debía cesar en el mando.
El segundo aspecto de la triada se vincula con la contrarrevolución orquestada desde el Cabildo, el que desconoció el pronunciamiento del pueblo a instancias de elementos realistas y reaccionarios, estableciendo en contra de lo expresamente decidido, una Junta de Gobierno encabezada por el Virrey antes depuesto.
Si bien los sucesos del 25 son ampliamente conocidos, no podemos dejar de remarcar que sólo la decidida acción del grupo patriota impidió la concreción de la maniobra contrarrevolucionaria, instaurando lo que la posteridad ha conocido como el “primer gobierno patrio”, objeto de esta conmemoración.
No podemos cerrar el capítulo revolucionario, sin mencionar una triada de sus efectos, que como principios básicos informan la Constitución de la Nación y constituyen los pilares sobre los que descansa nuestro sistema republicano: la soberanía popular, el sistema federal y el principio representativo.
La Participación Masónica
Durante años, la participación de la masonería en los sucesos de mayo de 1810, ha sido objeto de múltiples discusiones y no menos desencuentros. Sin embargo, se puede afirmar sin temor a equívoco, que a la Masonería Rioplatense de la época, no sólo le cupo una decidida acción en dichos acontecimientos, sino además, que su intervención resultó decisiva para el éxito del movimiento revolucionario.
La aparición de nuevas obras sobre el tema, la reconsideración de antiguas fuentes documentales y la tarea de jóvenes investigadores deseosos de profundizar esta cuestión, han contribuido grandemente a echar luz sobre el particular. Así por ejemplo, un muy documentado trabajo de Enrique de Gandía, el examen minucioso de la autobiografías de Saavedra, Belgrano y Guido y los más recientes estudios de Patricia Pasqualli, permiten arribar a la ya esbozada conclusión de que: la actuación de las logias y de los masones del Río de la Plata fueron determinantes en los acontecimientos de Mayo de 1.810.
Para el estudio del tema, podríamos arriesgar una última triada, siguiendo el orden siguiente: -El Estado de la Masonería en el Río de la Plata a principios del siglo XIX-; -La Actuación de los Patriotas Masones- y -la Identidad entre el Ideario Revolucionario y el Masónico-.
En la “Independencia de América y las Sociedades Secretas”, Enrique de Gandía (12) realiza un pormenorizado análisis sobre el primer aspecto. Sostiene que para 1810, la masonería había adquirido importante desarrollo en Buenos Aires. Entre los testimonios citados, figura el del General Enrique Martínez, el que en carta a Andrés Lamas declara que “desde época remota existía la sociedad masónica y Peña y Vieytes pertenecían a ella”. La época a la que refiere es la del Virrey Sobremonte, cuando la logia fue descubierta a raíz de una fuerte tormenta que arrastró mandiles y demás ornamentos. Agrega el General que la Jabonería de Vieytes era el lugar donde se reunía la logia “Amigos de la Libertad”.
Tales circunstancias hacen que Gandía arriesgue que ya para 1.795 existían trabajos masónicos en la capital del virreinato. Menciona a la muy conocida Logia San Juan de Jerusalén fundada en 1.804 por Juan de Silva Cordeiro, y cita a Ignacio Núñez, que en sus recuerdos afirma que las Invasiones Inglesas contribuyeron grandemente al fortalecimiento de la labor masónica.
Por su parte, Francisco Grilló, en sus “Episodios Patrios”, revela una comunicación de la Gran Logia de Versalles de 1795, dirigida a la Logia Independencia de Buenos Aires. Sobre esta misma Logia, el Coronel inglés Santiago Burke, narra que cuando se iba de la ciudad en 1809, fueron a despedirlo “un número de las principales personas del lugar, mis viejos amigos de Independencia”.
El General Miller, de hecho poco afecto a la masonería, escribe en sus “Memorias”: “un club, llamado la logia, se ha introducido con el objeto ostensible de promover la emancipación de la América Española . . .”(14).
Los testimonios citados, revelan que a la fecha del movimiento emancipador, la masonería era importante en Buenos Aires y se expresaba a través de varias logias, entre las cuales, las más conocidas históricamente han sido la San Juan de Jerusalén, la Independencia o Amigos de la Libertad y la Sociedad de los Siete, todas anteriores a la Lautaro..
La importancia del estudio de la segunda cuestión, referida al accionar de los patriotas masones, queda de manifiesto por el protagonismo que los mismos tuvieron durante los sucesos revolucionarios y en la conformación de la Primera Junta de Gobierno.
Los autores citados, a los que podemos sumar el Dean Funes, Zinni y Alcibíades Lappas, coinciden en cuanto a la pertenencia masónica de: Saavedra, Belgrano, Moreno, Matías Irigoyen, Donado, Chiclana, Paso, Castelli, Nicolás Rodríguez Peña, Berutti, Guido y Vieytes, entre otros muchos (15). Muchos atentos lectores podrán advertir que los masones enunciados fueron los principales protagonistas del cabildo del 22, se los sucesos posteriores y del gobierno emanado del movimiento revolucionario.
Más que ilustrativo respecto al rol de la Orden y de los masones resulta el testimonio del General Tomás Guido, quien en sus Memorias revela tales circunstancias de modo insuperable, atendiendo a su condición de protagonista. Dice el ilustre militar y masón respecto a la tarea de los masones al tomar éstos conocimiento de la pretendida contrarrevolución: “En la tarde del mismo día fue publicado por bando el acuerdo clasificado de popular, proclamando una junta compuesta del Virrey Cisneros como presidente y de los señores Saavedra, Castelli, Sola e Inchaurregui. El pueblo pareció satisfecho de esta elección y los españoles se felicitaron de haber salvado del peligro de un trastorno fundamental viendo triunfante la autoridad del Virrey. Muy diferente sensación produjo tal inesperado desenlace en el club reunido a las ocho de la noche en la casa del señor Peña… Era pues necesario deshacer lo hecho, convocar nuevamente al pueblo y obtener del cabildo se prestase a reconsiderar ante otra reunión popular la sanción de la víspera… Se aproximaba el alba sin que aún se hubiese convenido sobre los elegibles. Hubo un momento en que se desesperó de encontrarlos. Gran zozobra y desconsuelo para los congregados en ese gran complot de donde nació la libertad de la República. La situación cada vez presentaba un aspecto más siniestro. En estas circunstancias el señor Don Manuel Belgrano, mayor del Regimiento de Patricios, que vestido de uniforme escuchaba la discusión en la sala contigua, reclinado en un sofá, casi postrado por largas vigilias, observando la indecisión de sus amigos, púsose de pie y súbitamente y a paso acelerado y con el rostro encendido de su sangre generosa, entró en la sala del club (el comedor de la sala del señor Peña), y lanzando una mirada altiva en rededor de sí y poniendo la mano derecha sobre la cruz de su espada: ¡ Juro dijo, a la Patria, y a mis compañeros, que si a las tres de la tarde el Virrey no hubiese sido derrocado, a fe de caballero yo lo derrocaré con mis armas¡… Luego todos volvieron a ocuparse de los candidatos y cuando parecía agotada la esperanza, don Antonio Berutti pidió se le pasase papel y tintero y como inspirado de lo alto, trazó sin trepidar los nombres de los que compusieron la Primera Junta.”(16).
El tercer aspecto de esta última triada, refiere a la identidad entre el ideario de Mayo y el masónico.
Si reflexionamos un minuto sobre el simbólico y bello aserto del Libro de la Ley Sagrada - la Biblia-: “. . .por sus frutos los conoceréis”, no ha de resultar una temeridad afirmar que lo que el movimiento revolucionario de mayo produjo y plasmó en la sociedad civil, no fue más que la manifestación externa del ideario humanístico de la masonería, sintetizado en su lema de LIBERTAD, IGUALDAD y FRATERNIDAD.
El denominado “Espíritu de Mayo”, como ya se dijera, base y programa del ordenamiento constitucional argentino, reconoce como su más importante fuente a las enseñanzas de la masonería vinculadas con la soberanía popular, la autodeterminación de los pueblos, la igualdad jurídica, la división de poderes, la representación, las libertades de pensamiento, expresión y conciencia, tan largamente trabajadas y estudiadas en la serenidad de los templos y bellamente labradas en el corazón de cada masón.
Para los masones, el “Espíritu de Mayo”, encarnación político-institucional del “Espíritu Masónico”, debe ser motivo de permanente recordación entre nosotros; de la misma forma en que la conducta de quienes precedieron ha de ser motivo de emulación; pero como la obra comenzada en mayo de .810 lejos está aún de ser terminada, es obligación de la ciudadanía argentina, preparada para ser del mundo y abierta a los desafíos de sus tiempos, continuar con esos trabajos.
CITAS:
(1) Gómez de Silva, Guido, Breve Diccionario Etimológico de la Lengua Española, Fondo de Cultura Económica, Méjico, p. 691.
(2) Diccionario Universal Enciclopédico, Plaza y Janes editores, Barcelona, 1995.
(3) Bazot, M. , Manual de la Francmasonería, Angeres, 1845, Tomo II.
(4) Frau Aubrines y Rosendo Arúst Arderiú, Diccionario Enciclopédico de la Masonería, Editorial Kier, Buenos Aires, 1962, T 2, p. 862.
(5) Pigna, Felipe, Los Mitos de la Historia Argentina, Grupo Editor Norma, Buenos Aires, 2004, p. 218.
(6) Idem., p 220.
(7) González Calderón, Juan, Derecho Constitucional Argentino, J. Lajouane Editores, Buenos Aires, 1930, T 1, p. 3.
(8) Belgrano, Manuel, Autobiografía, en Los Sucesos de Mayo, Ed. Jackson, Buenos Aires, 1945, p. 117.
(9) Luna, Félix, Historia Integral de la Argentina, Ed. Planeta, T 5, p. 380.
(10) Palcos, Alberto, Prólogo a los Sucesos de Mayo, op.cit., p. XVIII.
(11) González Calderón, Juan, op.cit., p.17.
(12) De Gandía, Enrique, La Independencia de América y Las Sociedades Secretas, Ed. Sudamérica - Santa Fe, 1994, p. 118 y ss.
(13) Idem., p. 125.
(14) Miller, John, Memorias del General Miller, Ed. Emecé, 1997, p. 259.
(15) Lappas, Alcibíades, La Masonería Argentina a Través de sus Hombres, Buenos Aires, 1966.
(16) Guido, Tomás, Reseña Histórica de los Sucesos de Mayo, en Los Sucesos de Mayo, op.cit., p. 185 y ss.
Fonte: Máximo E. Calderón, RedMasonica, Impulsobaires
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